Libro 1 - Capitolo 37
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Vecchie amicizie

«Daniel! Saranno dieci anni che non ti fai vedere da queste parti, come stai amico mio?»

Sentendosi chiamare, Daniel si voltò rimanendo a bocca aperta. Non riconobbe immediatamente la persona che si trovò di fronte, ma diavolo, quella voce con quello strano accento, era impossibile dimenticarsene.

«Oh mio Dio, Marco! Quanto tempo!» gridò Daniel spalancando le braccia «È… è davvero una vita che non ci si vede! Guardati, sei pure invecchiato!»

Marco era un amico d'infanzia di Daniel. Era con lui che passava la maggior parte del tempo dopo scuola o durante le vacanze estive. Per lo più giocavano ai videogame o imbastivano campagne a giochi di ruolo inventati da loro.

“Due piccoli nerd un po' old school”, pensò Daniel ricordando quei tempi.

«Anche tu amico mio non sei messo un granché meglio» scherzò Marco abbracciandolo «ma devo dire che in generale sei praticamente uguale all’ultima vosta che ci siamo visti. Bianco pallido e fisicamente inadatto alla vita.»

«Quanto mi sono mancati i tuoi complimenti… Tu come te la passi? Da quelle due braccia deduco che hai abbandonato i pacchetti di patatine per darti al crossfit!» scherzò Daniel. In effetti Marco era sempre stato un po’ cicciottello da giovane mentre ora era dimagrito, anche il suo viso era diventato più spigoloso di come lo ricordasse.

«Sì, diciamo che per un periodo mi sono dato… allo sport. Ma che facciamo qui fuori? Ti va di venire da me che ci prendiamo una birra e rievochiamo i vecchi tempi?» chiese Marco con uno sguardo che faceva intendere che non avrebbe accettato un ‘no’ come risposta.

Daniel ci pensò su e in effetti non aveva molta voglia di tornare al café. Dopotutto per quella mattina aveva già dato abbastanza con NEXT, e poi quando gli sarebbe ricapitato di fare due chiacchiere col suo amico?

Daniel accettò volentieri l’invito e di due si diressero verso una zona più periferica. Ci vollero una ventina di minuti per raggiungere la casa di Marco, e nel mentre Daniel non faceva altro che guardarsi intorno e vedere come le cose fossero cambiate in quegli anni.

Dopo che suo padre venne promosso al lavoro la sua famiglia si trasferì più in centro, in una zona più ricca e lontana dai problemi delle periferie. A Daniel quella cosa non andò giù facilmente; dovette abbandonare gli amici, la scuola e pure il suo cane non poté venire con loro. La nuova casa, se così si poteva definire, era un appartamento che tutto insieme era forse più piccolo della precedente soffitta.

Ma i suoi genitori non volevano sentire ragioni, dicendogli che lì, per lui, era un posto migliore. Ci vollero anni per Daniel prima di capire che i suoi speravano che si facesse amici nelle zone più ricche, che studiasse nelle scuole private e finisse l’università per poter avere un buon lavoro e farsi una vita.

Invece a lui tutto quello sembrava non importare. Ai tempi voleva solo tornare in quelle periferie e giocare ai videogame con Marco. Invece si ritrovava in una scuola che odiava, con professori freddi, compagni di classe con la puzza sotto il naso e una sfilza di bulli a tormentarlo.

A ripensarci, per lui era forse già tanto non aver mollato le superiori, altro che univeristà.

Era ancora immerso nei suoi pensieri quando un ‘siamo arrivati!’ di Marco lo riportò coi piedi per terra. Erano di fronte al portone scorrevole di un magazzino; Marco scosse un po’ la chiave ne lucchetto, che con un colpo secco si aprì. Il ragazzo spalancò il portone e con un cenno della mano fece segno a Daniel di seguirlo all’interno.

«Ti piace? Ora vivo qui. Mi sono staccato da casa dei miei sai…»

Anche se Marco continuava a parlare, Daniel aveva smesso di seguire il discorso praticamente non appena aveva messo piede dentro il magazzino. La stanza in cui si trovava doveva essere almeno di 100 metri quadri ed era ricolma di cabinati posizionati l’uno di fronte all’altro come in una sala giochi, andando a formare diversi corridoi.

«Marco…» disse d’improvviso Daniel con gli occhi scintillanti interrompendo il discorso dell’amico «che posto è mai questo?!»

Il giovane fece un leggero sorriso, sapeva bene l’effetto che faceva l’ingresso di casa sua agli ospiti. Cerano 42 cabinati originali e ristrutturati, qualcosa di così raro e allo stesso tempo meraviglioso da far sbavare anche il più ricco dei collezionisti. Quello era un vero e proprio tesoro!

«In questi anni col lavoro ho avuto abbastanza fortuna… E questo è il risultato» rispose l’amico attraversando uno dei corridoi tra lucine e videogame old school dirigendosi verso una porta dall’altro lato della stanza.

Daniel lo seguiva in silenzio quasi reverenziale continuando a girare la testa da una parte all’altra per osservare quelle meraviglie. Avrebbe dato oro anche solo per fare una partita, ma non osava chiedere; d’altronde davano l’idea di essere pezzi da collezione, non giocattoli.

«Comunque» continuò Marco voltandosi con un sorriso amichevole «magari dopo ci facciamo una partitina, sempre che ti vada!»

Daniel sbarrò gli occhi «C-certo che mi va Marco! Sarebbe un sogno!»

«Bene, ora però seguimi, ti va un birra?»

Il ragazzo aprì la porta, e improvvisamente una vampata di calore e uno strano rumore investirono i due. Daniel rimase sorpreso e si fermò sull’uscio, coprendosi il viso con il braccio, il caldo era davvero insopportabile. Marco invece sembrava non farci troppa attenzione ed entrando si tolse la giacca e la felpa, rimanendo solo con una semplice canottiera bianca.

Daniel rimase stupito vedendo come l’amico aveva un fisico scolpito, tipico di qualcuno abituato ad andare regolarmente in palestra.

Entrando il rumore che aveva sentito si fece più forte. La stanza, grande quasi quanto la precedente, era quasi al buio, illuminata leggermente da centinaia di led lampeggianti.

«Benvenuto nel mio regno Daniel!» esclamò Marco allargando le braccia. I muri della stanza erano completamente ricoperti da armadi con svariati processori e schede interconnessi da ammassi di fili che a Daniel sembravano essere senza una fine.

Quel posto lo stava lasciando senza parole «Sei pieno di sorprese… Che diavolo ci fai con tutto questo hardware?» chiese Daniel avvicinandosi ai grossi mainframe. Il ronzio degli harddisk era coperto dalle decine di ventole e dal grosso sistema di areazione che sembravano riuscire appena ad impedire che tutti quei circuiti non prendessero fuoco.

«Mining» rispose secco Marco mentre apriva il minibar da cui tirò fuori un paio di birre «uso potenza di calcolo e algoritmi avanzati sulle blockchain per permettere scambi di criptovalute, e in cambio vengo pagato. Un lavoro particolarmente redditizio fino a qualche tempo fa, ma ormai anche la mia categoria inizia a soffrire della crisi»

Daniel aveva capito sì e no un terzo di quello che stava dicendo, ma sapeva che sarebbe comunque stato inutile approfondire.

«Devo dire che se mi avessero raccontato una storia simile sul tuo conto non ci avrei scommesso una Moneta» disse Daniel ancora incantato dal danzare dei led nella penombra della stanza.

«Ah ah ah… lo prenderò come un complimento» rispose l’amico offrendogli la bottiglia marroncina della birra «Cin! Alle amicizie passate! Ah… comunque ho visto che ti sei dato a NEXT, niente male. Com’è che ti sei chiamato… White? Che razza di soprannome è? Dov’è il buon vecchio signor Nemesis con cui ci spaccavamo su quegli MMORPG gratuiti terrificanti da piccoli?»

Daniel cercò di sorridere sembrando il più naturale possibile. In effetti ancora una volta senza volerlo aveva finito per dare spettacolo, era ovvio che la conversazione con Marco sarebbe finita sull’argomento NEXT. Non che lui non avesse voglia di parlarne, anzi; aveva però paura di lasciarsi scappare qualcosa di importante.

«Eh già… sai alla fine dicono si guadagni bene…» rispose Daniel tentando di spostare un po’ la conversazione, ma Marco non gliene diede la possibilità.

«E nemmeno sapevo che fossi così bravo, Nina è una tosta e tu sei riuscito a metterla alle strette. Non vorrei sbilanciarmi ma di questo passo ti ci vorrà molto per essere definito Esperto!»

A sentire quelle parole a Daniel quasi di traverso la birra. Cosa significava ‘non ci vorrà molto’? Lui era già un esperto, e lo aveva dimostrato!

Marco notò lo sguardo poco convinto dell’amico «Ho forse detto qualcosa che non va?» chiese bevendo avidamente un altro sorso di birra. Il caldo di quella stanza iniziava a farsi sentire.

«Beh, sai benissimo che non sono uno che si vanta Marco, però sono convinto di essere già un Esperto. Tu non hai visto cosa ho fatto in questi giorni»

A Marco scappò una leggera risata, lasciando l’altro a bocca aperta.

«Oh ca… scusa, ma dicevi sul serio?» domandò a Daniel.

«Certo! Che credi, che mi inventi le cose? Guarda che ho fatto il culo ad ogni singolo boss! Nessuno di quelli con cui ho fatto i dungeon poteva nemmeno paragonarsi a me… Se non è essere un Esperto questo, non so proprio cosa significhi.» rispose Daniel stizzito. Marco stava parlando a vanvera, senza conoscerlo sul serio. Avrà visto si e no le ultime battute dello scontro con GoldenLeaf e credeva davvero di poterlo giudicare?

Marco non riuscì a trattenere nuovamente un sorriso. Scosse leggermente la testa guardando Daniel dritto negli occhi «Sai, per potersi definire Esperti, che vorrei sottolineare essere un appellativo di non poco rilievo, ci sono… come dire… delle condizioni. I titoli di Esperto, Maestro o addirittura di Dio e Dea sono sì dati dalla community, ma non per questo non seguono delle regole precise»

Marco fece una breve pausa e si alzò dalla sedia avvicinandosi al monitor del pc iniziando a smanettare tra file, cartelle e strani terminali.

«Per esempio, è abbastanza consolidata la faccenda che perché tu possa essere definito così la decisione spetti ad un gruppo di tuoi superiori… Ovvero altri Esperti o Maestri a loro volta. Per caso è successo così anche per te?»

A quelle parole Daniel fece una smorfia. Capì di essere nel torto. Quello che diceva Marco era tanto ovvio quanto semplice; se chiunque potesse affibiare titoli, a quest’ora il mondo si sarebbe riempito di sedicenti Maestri e Dei, facendo perdere del tutto di significato il titolo.

«Beh, io…» Daniel non sapeva bene cosa rispondere. Tutti coloro che lo avevano definito un Esperto in effetti non erano altro che nuovi giocatori, poco capaci se non completamente nabbi. Nessuno di loro aveva l’autorità di definirlo in quel modo. A loro sarebbero bastate due lucine e qualche trucco di abilità e ‘puff’, ecco a voi il nuovo grande maestro!

Daniel si sentì schiacciato dalla realtà. Per quanto secondo lui avese mostrato abilità sopra la norma durante la Cittadella, LexVentus non aveva avuto la minima sorpresa nel vederlo e alla fine non aveva detto nulla di particolare sul suo conto; ed era proprio lui che aveva i gradi per poter esprimere un parere.

“Ma non l’ha fatto… perché non c’è nessun parere?!”, pensò Daniel abbattutto. Se fosse veramente stato così, non c’erano speranze per lui. Se tutto quello che aveva fatto, che fino ad un attimo prima gli sembrava tanto meraviglioso, ora era come se fosse una banalità, come sarebbe stato possibile per lui anche solo pensare di mettere piede nell’Eternal League?

“Ma anche solo a Platino”, il suo morale era davvero a terra.

«Però, davvero, ho visto lo scontro con Nina e non era male. Ti sai muovere bene ma ti manca ancora qualcosa…» disse Marco spezzando il silenzio tra i due. La notizia sembrava aver demoralizzato il suo amico ancora di più di quanto si aspettasse «Non devi però prendertela tanto. Alla fine che vuoi che sia, è solo un titolo. Io ne ho visti tanti di Esperti, e anche qualche Maestro, e non è con un nomignolo davanti che si diventa bravi giocatori.»

«Grazie, ma non credo che funzioni proprio così… Basta aprire qualche video per vedere che tra un normale giocatore e l’ultimo degli Esperti c’è un abisso… Quindi quel nomignolo conta!» rispose Daniel appoggiando a terra la birra. Gli era passata la voglia di bere. In realtà, gli era passata la voglia di tutto.

«Ma che… non essere tanto melodrammatico! Ci sono due modi per diventare un Esperto, Daniel. Nascere dotati, e, tuo malgrado, allenarsi. Allenarsi davvero. Guarda Nina, cosa credi, che sia nata con il controller in mano?» Marco iniziava a scaldarsi.

Come era possibile che Daniel si stesse abbattendo così tanto? Non era cresciuto per niente.

«Devi sapere che Nina è figlia di mia sorella. O meglio, sorellastra, dalla seconda moglie di mio padre. Tu eri già andato via. In ogni caso, questo significa che volente o nolente io in pratica sarei suo zio. Quella ragazzina ha avuto un infanzia abbastanza disastrosa a causa di alcuni problemi economici della famiglia mentre io ero all’estero per lavoro. Il padre ci ha lasciati tre anni fa, e anche mia sorella lo ha seguito la primavera seguente. Per questo sono tornato a casa…»

La voce di Marco si faceva più pesante e triste «Quel suo controller e quella TechMask sono tutto ciò che le rimane dei suoi genitori. L’ultimo regalo di Natale! Il marito di mia sorella era uno che lavorava nell’elettronica e aveva ricavato la maschera da hardware di recupero. Non era di certo spettacolare ma permetteva almeno alla bambina di giocare un po’ e sentirsi più… normale. Dio solo sa cosa avrei fatto ad averlo saputo! Se mia sorella me lo avesse detto avrei potuto aiutarli…»

Daniel ripensò a quel casco malandato e al controller. Questo spiegava come mai quella ragazzina si era fissata nell’usarlo. Qualunque altra persona si sarebbe certamente arresa dopo pochi tentativi, ma lei aveva continuato fino a rendere impossibile notare la differenza con un giocatore normale.

E non solo, era diventata ben più brava di un qualunque giocatore.

«Comunque scusami per la divagazione. Il punto è che Nina era una giocatrice come tutti. Non sapeva nulla e faceva schifo; anzi, con quella TechMask faceva anche più schifo. Però si è allenata duramente e soprattutto nel modo corretto. Le nottate a tirare frecce ai manichini… tu non hai nemmeno idea. E ora però è Platino. Te, amico mio, hai dalla tua parte un talento naturale, che però stai sfruttando male. Ti mancano le basi in pratica.»

Daniel ascoltava l’amico cercando di capire cosa intendeva.

«Di quali basi stai parlando?» chiese.

Marco sorrise nuovamente, come se quella fosse l’unica domanda che stesse aspettando. Prese quindi a rovistare dentro un cassetto e ne tirò fuori una TechMask, poi porse un cavetto a Daniel.

«Che ne dici se te lo mostrassi?»


Capitolo 37 - Vecchie amicizie - FINE
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