Libro 2 - Capitolo 101
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Il figliol prodigo

Quanto tempo era passato? Venti minuti? Un’ora? No, forse di più. Plum non sapeva dirlo. Aveva combattuto con Eve per un numero irragionevole di volte. All’inizio lo scontro era stato di una semplicità disarmante, tanto che era quasi arrivata al punto di mollare e disconnettersi. Poi però d’un tratto le cose avevano iniziato a prendere un’altra piega. Una piega interessante.

Per cominciare, Eve aveva iniziato a cambiare armi. Dopo i primi 6-7 tentativi con le doppie lame, improvvisamente aveva generato uno stocco, ovvero una lunga spada sottile ed affilata. Poi era passata a un arco, una balestra, e per poi ritentare il corpo a corpo con un kama alla cui estremità aveva attaccato una lunga catena con tanto di sfera metallica all’altro capo.

Ma non erano solo le armi, era evidente. Eve aveva iniziato a muoversi sempre meglio, sempre più velocemente, e a concatenare un’abilità dopo l’altra arrivando a comporre vere e proprio combo di skill. La complessità e l’efficacia di queste era pessima, ma ad ogni tentativo, ad ogni morte – anche se in realtà il colpo letale non arrivava mai – le sue capacità si affinavano un poco.

E Plum si era fatta prendere la mano da questa cosa. Era diventata curiosa, ma non solo, si stava esaltando. Un avversario che ogni volta che veniva sconfitto diventava più forte, era per caso un test? Quanto in là si sarebbe potuta spingere?

Non ne aveva idea, ma era decisa a scoprirlo. Aveva provato a parlare con Adam, ma non era servito a molto. Anche tirando lo scontro per le lunghe per darle la possibilità di comunicare con il ragazzo, questo continuava ad aggirare le domande con risposte vaghe che finivano sempre con un incitamento a combattere.

Plum però non si era data per vinta e aveva cercato in tutti i modi di approfondire maggiormente quello che stava succedendo. Era chiaro che quello che stava vivendo era una specie di loop temporale non meglio definito. Il pulsante, se così poteva chiamarlo, che riavviava lo scontro era la sconfitta di Eve: quando lo scontro giungeva a un vicolo cieco dove era ovvio che l’unica vincitrice sarebbe stata Plum, la ragazza veniva inondata di luce e ricominciava daccapo.

In realtà, c’erano delle minime differenze oltre alle capacità di Eve, era riuscita a coglierle, ma si trattava davvero di dettagli minimi: l’intonazione di Adam, la luce della luna, l’inclinazione della collina… Anche l’umidità e la temperatura erano cambiate diverse volte durante quello scontro.

Anche il vento, che all’inizio le soffiava in faccia, venendo dal bosco di fronte a lei, ora soffiava gelido dalla sua sinistra. Non sapeva bene se tutto quello fosse voluto o se avesse un reale significato.

Il tintinnio della catena di Eve le riportò l’attenzione allo scontro. Schivò rapidamente la sfera di metallo gettata a tutta forza, e rispose immediatamente vedendo l’apertura nella guardia del suo avversario, intenta a ritirare l’arma a sé. Un dardo di energia schizzò nel buio colpendo di striscio Eve, riuscita a spostarsi appena in tempo dalla linea di tiro.

La collina intorno era martoriata dai resti dello scontro in corso, tra voragini e frecce magiche nere come la pece ancora conficcate nel terreno. Al momento Eve era ancora inferiore a lei in fatto di capacità, ma poteva benissimo paragonarla a un giocatore di grado Oro I o nei primi gradini del Platino. Per quanto, però, in un 1vs1 contro la strega non c’erano chanché. La differenza tra le due era ancora lungi dall’essere colmata.

Plum aveva ancora diversi assi nella manica, ma non le sembrava assolutamente il caso di impegnarsi in quel modo per una come Eve. Lasciò che lo scontro proseguisse ancora con qualche scambio prima di bloccare i movimenti della donna con una [Gabbia ad Alta Gravità], per poi finirla con un [Quasar] a distanza ravvicinata.

Aveva notato di avere qualche secondo mentre il loop ricreava la scena e di poterlo sfruttare per riadattare la sua build. Tanto per variare un po’ quegli scontri che altrimenti rischiavano di diventare noiosi.

D’altronde, aveva passato gli ultimi 30 livelli a combattere come support nei Rainbows, quasi dimenticandosi delle sue abilità da DPS. Ne aveva guadagnate un sacco, soprattutto di alto livello, durante il pomeriggio al Bastione, e non aveva ancora avuto l’opportunità di provarle.

Quale miglior momento se non quello?

Il cielo si illuminò a giorno quando il [Quasar] apparve e rilasciò un raggio ad altissima energia di un paio di metri di diametro, centrato su Eve. L’aria fredda di quella notte si scaldò improvvisamente ma, come preventivato, non ci fu nessun impatto.

Tutto divenne nuovamente bianco. Plum sospirò pronta per il nuovo scontro. Aveva deciso che avrebbe usato Eve per sfogare tutta quella voglia di combattere che si portava dietro; avrebbe passato anche tutta la notte in quel giardino, se necessario. Adam avrebbe dovuto sbatterla fuori a calci, altrimenti avrebbe distrutto Eve senza nessuna pietà altre dieci, cento o mille volte.

Se NEXT pensava che una come lei avrebbe detto “basta”, si sbagliava di certo.

In quel momento, nella testa di Plum non c’era il minimo dubbio sul fatto che avrebbe continuato a vincere e a vincere, senza un limite. L’idea di perdere non la sfiorava nemmeno.


«Eddai, e che cavolo!» esclamò Xanto con rabbia. La sua voce si perse solitaria tra gli alberi di quel bosco. Stava vagando da quasi un ora e non aveva trovato altro che alberi e funghi. Ovunque si girasse, qualunque direzione prendesse, la foresta non sembrava avere fine.

Era nervoso: aveva perso di vista Plum subito dopo aver attraversato il portale dell’anomalia, poi aveva anche perso il contatto col Supporto. Con il suo Supporto.

Lui, l’Occhio di Dio, l’uomo del millennio, il ragazzo destinato a diventare la più grande star che NEXT avesse mai visto, si era perso in un dannato boschetto.

“Perché Elysium mi vuoi tanto male? Perché?!”, si pianse addosso il ragazzo. Aveva iniziato a svoltare a caso ogni dieci o venti passi, in preda alla disperazione. Inizialmente aveva provato a dare un senso a quell’esplorazione, ma ogni tentativo era stato completamente infruttuoso.

[Occhio di colui che tutto sa]

Xanto usò nuovamente la sua abilità alla ricerca di una risposta alle sue domande, ma il non ricevette nessuna risposta tangibile. Di nuovo.

[Figliol Prodigo]

Attese qualche secondo voltandosi spasmodicamente in ogni direzione. Nulla. L’abilità gli avrebbe dovuto mostrare la via corretta per arrivare all’obiettivo della missione, in genere sotto forma di una serie di lucciole, petali colorati o rocce fosforescenti. Ma intorno a lui non c’erano altro che boschi, erba, foglie e funghi. Nient’altro.

[La luce della ragione]

[Immediato Futuro]

[Oracolo]

Frustrato, Xanto usò in serie tutte le sue skill da Occhio di Dio sperando in una parola, un segno, o di una semplice schermata. Anche un messaggio di errore sarebbe stato utile in quel momento. Invece era lì, da solo in quel bosco completamente vuoto, senza niente o nessuno.

“Solo…”, pensò quasi terrorizzato. Solitudine e silenzio non erano parole che dovevano stare nel dizionario di una star come lui. Che avesse fatto qualcosa di sbagliato? Che avesse perso i suoi poteri?

No, non era assolutamente possibile. Lui era Xanto! Non era un giocatore non qualunque, non era un chierico qualunque! Lui non venerava un falso dio, un idolo di quel mondo che tutti chiamavano NEXT. Lui era la luce in persona che illuminava il continente, era la stella più luminosa del firmamento, il braccio destro dell’unica vera signora di Atlas!

E quella donna non l’avrebbe mai lasciato in un bosco da solo. Non l’aveva abbandonato, non poteva farlo; era con lui anche prima di diventare un Occhio di Dio. La classe di prestigio era stata solo una naturale estensione del suo destino, qualcosa che doveva capitare in qualche modo, per forza.

Xanto era convinto, anzi era certo, che se c’era qualcosa che non andava, se non aveva ancora trovato la strada per uscire da quel luogo, era solo perché aveva sbagliato qualcosa. O meglio, perché non aveva ancora fatto la cosa giusta.

«Eddai…» mormorò sconfortato. Odiava quando Elysium faceva la permalosa; lui sapeva che lei era in ascolto, come al solito. Semplicemente, non le piaceva mostrarsi troppo, anzi, era una a cui piaceva farsi desiderare. In sottofondo poteva sentire il sottile ronzio che ormai lo accompagnava da quando era diventato un Occhio di Dio. In quel suono, appena udibile, percepiva le Vibrazioni – così le chiamava lui – delle corde che dominavano quel mondo. Il ritmo e la tonalità erano fondamentali per capire in cosa si stava cacciando.

Solo lui era in grado di sentirle e soprattutto di capirle. Era in contatto diretto con Elysium, e lei era in contatto diretto con lui.

Quando aveva cercato i Rainbows, per esempio, aveva sentito dei ticchettii ritmici che andavano ad intensificarsi man mano che si avvicinava alla loro base. Quando aveva incontrato Blue il suono era diventato profondo, come il battito del cuore da capodoglio nel fondo dell’oceano. Ah già, era lì aveva capito di aver trovato la sua musa, la donna che avrebbe portato al suo fianco una volta diventato la più grande star di tutto Atlas. Ad esclusione di Elysium ovviamente, lei sarebbe stata al suo fianco per sempre.

Anche quando aveva trovato la casa dei TheSociety la vibrazione gli aveva dato segnali estremamente chiari. Aveva iniziato a suonare in lontananza, già da fuori dalla città, come una sirena che indicava pericolo.

All’inizio, quando aveva cominciato a sentire quel suono, credeva che non erano altro che sue interpretazioni di quello che non era altro che un rumore casuale. Ora invece si era convinto che no, quelli erano dei segni che Elysium mandava direttamente a lui, l’unico davvero in grado di capire quello strano mondo.

E ora, quel suono sordo e piatto, era chiaramente il silenzio di Elysium. Era seduta nelle sue stanze ad osservarlo come fa un dio con il suo discepolo prediletto, in attesa. Ma sapeva anche che le sue labbra erano serrate e sottili, nel tentativo di trattenere quelle parole che spingevano per uscire, le parole che avrebbero risposto alle sue domande.

Questo era il disegno che si delineava limpido nella testa di Xanto; il fatto che Elysium fosse un’intelligenza artificiale, e come tutti i software non fosse dotata di labbra da tenere chiuse o tantomeno un sedere da poggiare su una sedia, erano dettagli perfettamente sorvolabili per quanto gli riguardava.

Alla centosettantesima volta che incrociava l’ennesimo faggio, Xanto si fermò di colpo a fissare le ombre di fronte a sé. Stava andando nel panico, era chiaro. Stava rischiando di perdere il sottile strato di perfezione che lo accompagnava. Era come un confetto il cui strato di zucchero stava andando in frantumi, transformandosi in una triste e raggrinzita mandorla marrone.

Fece una smorfia schifata all’idea di trasformarsi realmente in un essere ruvido e marrone, poi scosse con forza la testa soffiando a labbra strette producendo un suono vibrante. Si diede due buffetti sulle guance e riprese fiato.

Doveva riprendersi, lui era Xanto, la star. Non doveva mostrarsi debole, non poteva avere paura in pubblico! Non importava che non ci fosse nessuno intorno a lui, non si poteva mai sapere dove un fan potesse nascondersi.

Si mise a posto un boccolo biondo con un rapido movimento della mano.

«Elysium» la voce del ragazzo era tornata sicura come al solito. In un attimo sembrava essere riuscito a riprendere il controllo di sé. Ora appariva nuovamente raggiante e tranquillo, come durante un elegante aperitivo.

«Elysium, cara…» ripeté nel buio del bosco attendendo ancora qualche secondo. Sentì, o almeno pensò di sentire, una leggera variazione nella vibrazione di fondo. Un istante, come una nota non suonata fino alla fine.

Riprese ad esplorare la foresta, ma questa volta i suoi passi erano leggeri e tranquilli, gli occhi azzurri fissavano davanti a sé, affrontando l’oscurità con un sorriso.

«Grazie, Elysium» disse con un filo di voce. Un altro passo, un tic nella vibrazione. Il sorriso sul suo volto si allargò ancora di più, tanto da mostrare i denti bianchissimi.

Tic

Tic

La via che aveva perduto era stata ritrovata. Non aveva pensato che si chiamava “Retta Via” perché era dritta di fronte a sé. Aveva vagato, si era smarrito per mille strade, tanto che aveva temuto di essersi perso per sempre. Ma lei veglia sempre sul proprio gregge.

Temeva di essere stato abbandonato, invece era lui che stava fuggendo.


Capitolo 101 - Il figliol prodigo - FINE
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