Ci vorrebbe un amico
«Quindi tu vorresti farmi credere che sei arrivato fino a questo punto con un GS di 350?» domandò Red guardando White dall’alto verso il basso sconcertato «Cioè, mi stai dicendo che tu sei stato così tanto idiota da arrivare qui con un gear score di soli 350? Imbarazzante»
Daniel rimase in silenzio odiando il modo in cui Red sottolineasse ogni singola parola. D’altro canto, però si sentiva terribilmente in imbarazzo. Tutti i suoi compagni avevano equipaggiamenti fuori dal comune mentre lui si sentiva una nullità al loro confronto.
«Beh, di certo avrà qualche altra qualità!» se ne uscì Plum, sdraiata sull’erba non troppo lontano «Dimmi, a quanto ammonta la tua taglia? Non sembra tu ne abbia una però… Magari hai già raggiunto il Diamante nelle Arene in singolo?! Ma di certo lo saremmo venuti a sapere prima. Oh, no aspetta, forse sei uno di quelli sa tutto sul gioc… ah no, quello ce lo abbiamo già»
Anche di fronte a tutte quelle domande White rimase quasi paralizzato, senza ben capire come muoversi. Certo, finché Plum continuava a porsele e a rispondersi da sola non è che a lui rimanesse molto altro da fare.
«Sentite» si fece avanti Blue «se Noah, Black o chi degli altri ha detto che White è il nostro quinto uomo beh, dobbiamo tenercelo. È inutile stare a discutere quale sia il suo apporto al gruppo, o sbaglio?»
«La sua unica utilità è quella di essere il quinto membro per fondare la gilda» lo schernì Red irritato.
«Dieci» disse Orange, rimasto in disparte.
«Come, scusa?» chiese Red.
«Dieci, non cinque. Per fondare una gilda ci vogliono dieci membri. World Awaken Patch 10.0.2, pagina 13. ‘Al momento della sottoscrizione il capogilda dovrà fornire almeno altri 9 nomi di membri consenzienti per poter fondare la nuova gilda’. È scritto nelle notes» spiegò il guerriero.
Red lo guardò qualche istante, per poi sputare per terra «Che cazzo di nerd…»
«Questo è un gran bel problema» esclamò Blue «e ora dove diamine li troviamo altri cinque?!»
«Non guardate me» disse Plum alzando le mani «la gente viene da me per la mia testa, non per la mia amicizia!»
«Orange?» domandò Blue nella speranza che potesse avere una soluzione.
«Ehm… io veramente non ho molti amici…» disse imbarazzato il ragazzo.
«Chiunque va bene, non preoccuparti» disse Blue cercando di non pressarlo troppo.
«Sì, ecco… con “non molti” forse ho esagerato… diciamo che nessuno è una stima più realistica, ecco» precisò quasi sottovoce lui.
«Fantastico» disse Blue, poi si voltò verso Red, ma scosse la testa poco dopo «a te è anche inutile chiederlo…»
«Beh, io volendo un paio di nomi li avrei, forse» se ne uscì White.
«Ah, vedi che allora a qualcosa servi?» esclamò Plum prendendolo in giro.
«Il problema è che alcuni di loro fanno già parte di altre gilde e non sono sicuro che possano unirsi a noi» precisò il monaco guardando gli altri.
Blue si fece avanti: «Non importa. Il tempo stringe e per causa tua siamo ancora più in ritardo di quanto possiamo realmente permetterci. Penso che la cosa migliore sia dividerci e cercare di convincerli»
«Ma perché non possiamo prendere gente a caso?» domandò Red.
«Sarebbe un rischio non da poco» spiegò Orange «per l’Eternal League avremo certamente bisogno di una gilda che ci supporti con diversi ruoli secondari, come la raccolta di materiali o simili»
«Per non parlare del fatto che se anche uno solo ci dovesse abbandonare a metà strada la gilda si sfalderebbe» continuò Blue «è assolutamente necessario trovare giocatori affidabili»
Poi la ragazza si voltò verso White «questi tuoi amici, ci possiamo fidare?»
«Beh non li chiamerei proprio amici…» rispose il ragazzo mordendosi un labbro «però sì, se fossimo in grado di convincerli sono sicuro non ce ne pentiremo…»
«Perfetto. Ci divideremo in gruppi e andremo da ognuno di questi. Gli offriremo quello che abbiamo: supporto, aiuti economici, consigli o semplicemente compagnia» ordinò Blue «e la promessa che saremo in grado di scrivere il loro nome nella storia di questo dannato gioco!»
Tutti guardarono la ragazza galvanizzata dalle sue stesse parole. Blue si accorse d’essersi lasciata forse un po’ andare e che non era di fronte a degli npc, quindi poteva anche comportarsi in maniera normale.
«Io vado con Orange» disse Red indicando il guerriero col pollice. Nessuno sembrava aver nulla da obiettare, probabilmente perché nessuno voleva andare con il ladro.
«Dacci il nome di qualche tuo amico nabbo. Sono sicuro che dopo avergli frantumato la testa capirà chi sono i più forti e verrà con noi» spiegò Red con un sorriso da vincitore.
White guardò Blue confuso senza sapere bene come comportarsi. La ragazza però lo ignorò e andò avanti con l’organizzazione della loro prima missione.
«Perfetto, io Plum e White allora faremo gruppo. Noi ci dirigeremo verso i membri meno “combattivi”. Red, se provi a spaventarne uno giuro che te la farò pagare» esclamò la maga, poi si voltò verso White «forza, dacci due nomi!»
Daniel era ancora un po’ confuso ma cercò di fare mente locale. Tutto era successo così velocemente che ancora non era sicuro che fosse reale.
«Allora vediamo…» bofonchiò il ragazzo guardando Red. Cosa avrebbe potuto dire? Nessun nome sarebbe andato bene per uno come lui, qualunque persona di fronte a quella testa calda sarebbe scappata a gambe levate.
«Silverfox!» esclamò White all’improvviso. Alla fine era la scelta migliore: le probabilità che la ragazza mollasse la seconda gilda al mondo per unirsi a cinque sconosciuti erano sottoterra. Mandare Red o andare di persona da lei non avrebbe fatto una gran differenza, in fondo.
«Perfetto!» disse Red chiamando con un fischio Orange «noi ci mettiamo subito all’opera, voi vedete di non fare troppe stronzate. Torneremo con questa Silverfox, che lei voglia o meno!»
Stava già per voltare i tacchi ma poi il ragazzo si bloccò di colpo e guardò White: «Ah già, quasi dimenticavo, non ti azzardare ad avvertirla del nostro arrivo. Se mi rovini l’entrata ad effetto, io rovino te! Ah ah!»
White lo guardò andarsene senza aggiungere altro. Dei quattro, Red era quello che più gli dava a pensare. Anche se a dirla tutta pure Plum non gli sembrava poi tanto normale.
«Bene, quindi noi dove andiamo?» domandò Blue guardando il monaco.
«Io non posso andare in città!» esclamò Plum sorridendo, come se fosse un’ottima notizia.
«C-come mai?» domandò White.
«La sua taglia è così alta che sicuramente ovunque andremo ci saranno cacciatori pronti a tutto, pur di prendersela…» spiegò Blue al ragazzo, che era assente durante la loro presentazione, poi si voltò verso la giovane «non c’è modo di sbarazzarcene?»
Plum ci pensò un poco poi sospirò: «Eh, beh un modo ovviamente c’è, ma con tutta la fatica che ho fatto per arrivare a dodici mila Zed è una vera rottura»
A Daniel quasi non cadde la mascella sentendo quelle parole.
«D-dodici… dodici mila?!» esclamò.
«Sì, è una bella storia, ma siamo tutti un po’ speciali qui, no?» tagliò corto Blue. Era chiaro che avesse fretta.
«Beh, mi sa che è ora che tu faccia questa cosa. Non possiamo permetterci di andare in giro con una mina vagante come te. Appena chiudiamo questa cosa dei cinque membri dovremo darci dentro. Bisognerà arrivare a livello 100, per non parlare delle Arene. Non so se vi rendete conto di cosa voglia dire arrivare a rango Diamante.»
Per un momento, nella radura calò il silenzio. Daniel capì che allora tutti quanti avevano avuto le sue stesse paure riguardo a quel ‘lavoro’. Anche Blue e Plum, per quanto chiaramente giocatrici eccezionali, sembravano sentire addosso il peso di un’impresa tanto impegnativa.
«Hai ragione» disse Plum fattasi d’improvviso più seria «non mi ci vorrà molto, ma la strada è lunga. Se parto ora penso di essere pronta entro sera, domani al massimo.»
«Bene… Beh, questo significa che siamo rimasti solo io e te, White» fece notare Blue sorridendo al ragazzo.
«Eh, sì… Già! Vero!» rispose lui senza sapere veramente cosa dire. Blue gli faceva uno strano effetto, molto simile a quello che gli faceva Helen. Non sapeva dire cosa fosse, era come una specie di aura che circondava quelle donne.
«Di molte parole, bene» lo prese in giro Blue «forza, quindi dove dobbiamo andare?»
Daniel ci pensò solo per qualche istante, ma in cuor suo aveva già deciso. In testa aveva molti nomi, alcuni molto più facili ed ovvi di altri, ma voleva fare un passo oltre. Sarà stata la presenza di Blue, il primo incontro coi Rainbows, non lo sapeva, ma voleva tentare qualcosa di veramente difficile. Di folle dal suo punto di vista.
«Damathia, qui a sud. Là c’è una ragazza che potrebbe essere perfetta per noi» rispose lui.
«Nome?» domandò Blue curiosa.
«Midnight… si chiama Midnight»
«Allora, che ne dici del gruppo?» domandò Black seduto sul suo grande trono.
«In generale? Un branco di idioti» rispose Noah con il suo solito modo di fare burbero.
«A te non piace proprio nessuno, eh?»
«Ma che dici?» ribatté lui «Adoro il whisky, le patatine fritte, e anche quella del meteo, sai quella bionda, anche lei mi sta simpatica»
I due si guardarono negli occhi qualche istante prima di scoppiare a ridere.
«Comunque no» continuò Noah «tolta Blue, che vale forse la sufficienza, una manica di idioti. Capiamoci, idioti di prima classe, non robaccia come i giocatori d’oggi. Però nulla di paragonabile a…»
L’uomo si fermò qualche istante fissando il soffitto, forse alla ricerca del paragone perfetto che sembrava però sfuggirgli.
«Non è importante» finì Noah.
«No, non è importante» ripeté Black «però voglio che tu sappia che sono convinto che ti sbagli sui ragazzi. Ognuno di loro, nel suo piccolo, è eccezionale»
«Anche quel White? Dai, è ridicolo. Abilità combattive mediocri, equipaggiamento mediocre, almeno ne capisse qualcosa del gioco, ma è un ignorante su tutti i fronti»
«Non sarei tanto duro nei suoi confronti, poi sai che le capacità di un giocatore non si possono calcolare da semplici numeri…» spiegò Black sempre con lo sguardo sull’uomo, che invece sembrava immerso nei suoi pensieri.
Noah non rispose, rimanendo in silenzio continuando a fissare il soffitto. Come Black, il suo avatar era ben fuori dal comune, con l’aspetto di un uomo anziano, duro, che ricordava i marinai d’inizio secolo. Anche lui forse un po’ stonava con il fantasy lussureggiante e i giocatori di bell’aspetto che riempivano NEXT.
«Te lo ricordi?» disse Noah all’amico senza togliere lo sguardo dal soffitto.
«Cosa?… Oh, no ancora» sbuffò appena Black «non ti ci mettere pure tu, c’è già Innaxe che-»
«Ssh… dai, su, sono sicuro che te lo ricordi»
«Mi sembrate dei dischi rotti, davvero»
«Se chiudi gli occhi sono sicuro che ancora puoi sentire l’odore di quei posti. Il sapore amarognolo che riempiva la bocca. L’adrenalina che riempiva le vene mentre il cuore accelerava il suo battito»
«Dovreste smetterla di romanzarvela così tanto» disse Black massaggiandosi le tempie.
«Poesia» fece Noah, come se non ascoltasse le parole dell’altro «Quando siamo entrati qui la prima volta? Quattordici anni fa?»
«Tredici» rispose conciso l’altro.
«Ah… allora vedi che ti ricordi» disse sorridendo il vecchio «Che tempi che erano. Lì mostravamo le unghie, lì si combatteva come se ne andasse della nostra stessa vita, e lo facevamo perché in un certo senso era davvero così!»
«Non come quei mollaccioni di oggi» lo apostrofò Black «te l’ho detto, te e Innaxe? Due dischi rotti. Ora ascolta bene me, Noah: questi ragazzi, questi cinque ragazzi, sono bravi. Sanno fare il loro mestiere, e vedrai che hanno tutte le carte in regola. Anzi, la mia paura è che voi tutti li stiate prendendo sottogamba. I campi di Dandelion? Erano bei tempi, ma non sono rimasti altro che dei fottutissimi ricordi. Non pensare di trovarti di fronte all’ennesimo gruppo di pro con la puzza sotto il naso»
A quelle parole Noah aveva smesso di guardare in alto e si era voltato verso Black, ascoltandolo attentamente. Quando ebbe finito, l’uomo lo guardò intensamente con i suoi occhi chiari ancora per qualche istante.
«Stai forse dubitando di me?» domandò Noah poco convinto.
«Voglio sottolineare che se c’è qualcuno che dubita qui, quelli siete voi, e lo fate sul mio operato, sulle mie scelte» ribatté Black in tono quasi di sfida.
«Nessuno di quei ragazzini sarebbe in grado di torcerci un capello, e lo sai bene» sbottò Noah, visibilmente infastidito dal discorso.
«Sbaglio o dicevi la stessa cosa anche di un certo Abyss una volta?» ribatté Black, per poi subito mordersi la lingua. Le ferite del passato tornarono per un momento a tormentarlo.
Noah guardò l’amico poi sbuffò rumorosamente, capendo che quella discussione in ogni caso sarebbe stata inutile.
«Ehi, ma siete ancora qui?» La voce di Innaxe rimbombò sulle pareti del grande salone. Subito i due cambiarono espressione, abbandonando, o almeno nascondendo, la negatività che aleggiava poco prima.
Senza dire altro Noah si alzò dal suo scranno e si allontanò. Innaxe prese il suo posto vicino a Black che come al solito era tornato a controllare i suoi fogli, probabilmente per tenere impegnate le mani.
«Il capo ha qualcosa che non va?» domandò Innaxe indicando l’uscita che aveva preso Noah.
«Sai com’è fatto, ha i suoi momenti di nostalgia» spiegò brevemente Black.
«Ah ah… eh, come lo capisco»
«No, ti prego, non cominciare anche tu che ne ho già abbastanza per oggi»
Innaxe guardò l’altro qualche secondo, poi cominciò comunque a parlare.
«Sai, quel ragazzo, White, non è poi tanto male» disse il frate.
Black smise per un istante di rovistare tra le pagine che aveva di fronte senza spostare lo sguardo dai dati, per poi riprendere col suo lavoro.
«Voglio dire» continuò Innaxe «non è nulla di speciale, però nella sua non specialità aver fatto quello che ha fatto è di per sé… sorprendente. Non credi?»
«Ti riferisci alla battaglia e al fatto che abbia salvato il culo a Meredith?»
«Ah come sei materialista. Sì, mi riferisco anche a quello è ovvio…»
Black sbuffò leggermente, quasi come se non riuscisse a capire il senso di quella discussione.
«Quando l’ho portato all’incontro, oggi, mi sembrava un po’ cambiato da quando l’avevamo trovato alla villa, tutto impaurito come un pulcino uscito dall’uovo» continuò Innaxe.
Black sollevò i fogli e rumorosamente li sbatté sul tavolo per pareggiarne i bordi e formare una pila ordinata.
«Fantastico.» disse quasi scocciato «E con tutto questo cosa vorresti dirmi?»
Innaxe sorrise leggermente e si alzò dalla sedia per andarsene.
«Che forse, amico mio, noi ci siamo sbagliati e tu avevi ragione»
